Premessa

Il regime di responsabilità limitata che tutela i soci di una s.r.l. (per cui essi rispondono dei debiti contratti dalla società nei soli limiti del proprio conferimento) non opera a fronte di atti di gestione, da essi intenzionalmente decisi o autorizzati, che abbiano prodotto un danno alla società, ai soci oppure a terzi: in questo caso, infatti, la responsabilità dei soci non amministratori di una s.r.l., al pari di quella degli amministratori, è illimitata.

La responsabilità da eterogestione

Ai sensi dell’art. 2476, comma 7, Cod. civ., “sono solidalmente responsabili con gli amministratori i soci di s.r.l. che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi“.

La ratio della disposizione – introdotta dalla riforma del diritto societario del 2003 (D. Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6) – va ricercata nella circostanza (di fatto) che i “naturali” amministratori di una s.r.l. sono gli stessi soci e che, pertanto, anche in assenza di una formale investitura, essi esercitano la funzione gestoria e debbono, pertanto, rispondere di quegli atti di gestione (diretti, nel senso di intenzionalmente decisi, o indiretti, nel senso di intenzionalmente autorizzati) da cui sia derivato un danno per la società, i soci o i terzi: è la cd. responsabilità da eterogestione.

L’intenzionalità

Ma quando si ritiene integrato il requisito dell’intenzionalità?

La giurisprudenza di merito prevalente non condivide l’interpretazione restrittiva (cfr. Tribunale di Salerno, 9 marzo 2010) per cui sarebbe richiesta l’intenzionalità dell’eventus damni (così che l’applicazione della norma in commento risulterebbe limitata al solo caso in cui il socio abbia agito con dolo specifico, ossia con la coscienza e volontà di arrecare danno alla società, agli altri soci o ai terzi) e preferisce la tesi che dà rilievo alla “intenzionalità del decidere”.

L’intenzionalità ricorre, cioè, quando il socio sia consapevole dell’antigiuridicità dell’atto gestorio: antigiuridicità che, a sua volta, si configura non solo quando l’atto deciso (o autorizzato) dal socio è contrario alla legge o all’atto costitutivo della società, ma anche quando l’atto, pur di per sé lecito, è esercitato in modo abusivo, ovvero “con una finalità non riconducibile allo scopo pratico posto a fondamento del contratto sociale” (così, Tribunale di Roma 1° giugno 2016).

Rilevano, sotto questo profilo, non solo le determinazioni assunte dal socio in sede assembleare, ma qualsiasi manifestazione di volontà espressa dal medesimo anche al di fuori dell’assemblea, purché idonea ad influire sulle attività di gestione sociale.

La tesi torinese

Così opinando, il Tribunale di Torino (sentenza n. 1450 del 27 aprile 2020) ha ritenuto che, nell’ipotesi di perdita integrale del capitale sociale non accertata dall’organo amministrativo, siano responsabili in solido con gli amministratori i soci che, ex art. 2476, comma 7, cod. civ., abbiano consapevolmente omesso di adottare i provvedimenti prescritti dalla legge per fronteggiare la situazione creatasi in ragione delle perdite riportate, consentendo, per contro, la prosecuzione dell’attività e, quindi, l’aggravamento del dissesto.

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